Rita Tonelli: la trasgressione è arte

L’intervista che ti rivelerà di più dell’eclettica insegnante del Sigonio: tra passioni, Sanremo e tazze di tè.

rita tonelli

Perché ha scelto di fare l’insegnante?

«Io non ho deciso di fare l’insegnante. Inizialmente, mi sono iscritta all’università per diventare giornalista ma, in seguito, ho deciso di occuparmi di arte. A un certo punto, però, è uscito un bando di concorso per insegnare e da lì ho “fatto pace” con la scuola. Io avevo frequentato un orrendo liceo, in cui sono stata trattata malissimo e, allora, ho capito che potevo trasformare la mia cattiva esperienza in qualcosa di positivo. Quindi ho coniugato la mia grande passione per l’arte con quella “tardiva” per la didattica d’arte».

È soddisfatta della scelta che ha fatto?

«Assolutamente sì. Sono nella mia “tazza di tè” quando insegno. Non a caso mi rendo conto che per me questo lavoro è proprio una passione. Da una parte mi ha ridefinito come persona adulta e dall’altro. Mi piace il rapporto continuo con gli studenti e credo che la storia dell’arte sia molto utile: ha una funzione nella vita delle persone come cittadini e sia un efficace metodo per farsi domande e ricercare risposte, possibilmente sfatando i luoghi comuni».

Se potesse scegliere un artista per cui posare, quale sarebbe? Perché?

«Sceglierei di non posare, è una cosa passata. L’artista deve fornire risposte alle sollecitazioni e ai problemi del mondo attuale. Non credo che nessuno oggi abbia bisogno della mia faccia o di nessun’altra parte del mio corpo. Se dovessi proprio scegliere di entrare nell’opera di un artista, allora sceglierei Banksy».

Per quale tematica sarebbe interessata a collaborare con un artista?

«A me piacerebbe molto parlare di salute mentale o della libertà di comunicare: dell’arte di oggi sono i due temi meno affrontati. La censura è un pericolo antico che, tristemente, pare sia tornato di attualità. La scuola e l’arte devono occuparsi di salute e di libertà».

Qual è il suo “Violon d’Ingres” (in termini artistici sarebbe la passione in cui eccelle al di fuori del lavoro)?

«Il mio Violon D’Ingres è cucinare. Sono figlia di una cuoca mancata e questa è la più grande eredità che mi ha lasciato. Non tanto il fatto di essere una brava cuoca, di avere ricette segrete o cose del genere, ma la facilità creativa e l’abilità di adattarsi alle diverse esigenze alimentari». 

Ritiene che la cucina sia un’altra forma d’arte?

«No, la cucina è una forma d’amore con cui comunico affetto alla mia famiglia. È una passione che condivido con i miei famigliari, in particolare con il mio figlio minore, lui è bravissimo. Infatti, quando non ho voglia di cucinare mi sento in colpa, come se trascurassi i miei, come se non mi occupassi di loro».

A lei piace più cucinare da sola o in compagnia?

«Il mio massimo è quando siamo tutti in cucina. Il caos assoluto mi piace moltissimo. Inoltre, quando sono sola, sono un po’ molesta, richiedo consigli, aiuti…».

Sappiamo che lei e la prof.ssa D’acconti siete molto legate, ci può parlare del vostro rapporto?

«Sono una persona con poche amicizie. Soprattutto a lavoro, è stato difficile per me farsi degli amici, perché sono stata lungamente supplente, cambiavo scuola ogni anno. Quando sono venuta in questa scuola, avevano già parlato di questa “famosa professoressa di Filosofia” suscitando in me una certa curiosità. Eravamo nello stesso consiglio di classe e abbiamo iniziato a conoscerci e qualche volta venivamo a scuola insieme. Siamo molto diverse, ma complementari e abbiamo un modo di pensare simile per le questioni scolastiche. Ammiro il rispetto che ha per gli altri e la sua grande cultura, che riesce sempre a stupirmi. La mia ammirazione, ho capito presto, era condivisa con i suoi studenti ed è nato il mito della “Divina Dacco”, sul quale ironizziamo. Ha una cultura di cui il mondo si vanterebbe, ma lei si comporta come se fosse neofita in ogni materia mi ha influenzata con la sua grande passione per la botanica, ha una conoscenza incredibile in questo ambito ma ne parla con molta disinvoltura. Ogni cosa che dice è in grado di incuriosirmi: penso che ogni amicizia debba comprendere uno scambio di stimoli intellettuali». 

La prof.ssa D’acconti ci ha detto che lei è un’appassionata di costume. Se potesse scegliere un’epoca nella quale vivere, basandosi sulla moda del tempo, quale sceglierebbe? Perché?

«Sceglierei la nostra epoca. Bisogna essere innamorati del tempo in cui si vive, o almeno farsene una ragione. Penso ci siano tanti stimoli. Ad esempio, io non ho ascoltato Sanremo, l’ho guardato dal punto di vista della moda. Gli abiti hanno un ruolo importante, soprattutto quando si legano e completano i temi delle canzoni e sono il risultato di uno studio che presenta in modo originale l’artista e la sua proposta. Di questi ultimi tempi penso sia di grande interesse il recupero del vintage. La moda è una forma d’arte perché è comunicazione e perché fornisce a tutti noi assumere un’autoconsapevolezza, di guardare gli altri andando oltre, di lottare contro gli stereotipi. 
Mi piace quando si riesce a trasmettere messaggi tramite l’estetica, perché è la prima cosa che vediamo in una persona. Per questo è importante che gli adolescenti, in ricerca di un'identità, sperimentino». 

Qual è la trasgressione più grande che ha fatto?

«Studiare e fare una tesi in Storia dell’arte è stata una trasgressione visto che in casa mia era considerato proprio una perdita di tempo. Ho avuto un’educazione super cattolica, la parola trasgressione non esisteva: esisteva la parola obbedienza e il suo contrario: peccato. Quindi, per me la vera trasgressione è stata uscire da questa visione moralistica ed asfissiante della vita e declinare la parola trasgressione con “scelte libere e consapevoli”, la parola peccato con 'occasione mancata'». 

Cos’è per lei la libertà?

«Il problema della libertà è capire il confine che non vale la pena superare (davvero ho detto questo?). Grazie al mio lavoro sono riuscita a riappropriarmi di quello che sono e di quello che voglio essere. L’indipendenza e il definirmi come persona consapevole sono stati per me due traguardi intrecciati. 
So che oggi il “posto fisso” ha un altro valore per i ragazzi, se prima la realizzazione del lavoro era fondamentale, adesso ci si può realizzare anche senza avere una posizione economica precisa e definita».

Quale consiglio darebbe a uno studente che deve intraprendere la propria strada nel mondo degli adulti?

«Io non so cosa ci sarà fra quattro/cinque anni per te studente, quindi come posso dire che una cosa va bene o no? Se quella cosa che stai facendo o studiando ti fa sentire bene, se capisci che è la tua “tazza di tè” in cui sguazzi, la strada per mantenerti poi la troverai.  Infatti studiare o prepararsi ad un lavoro che ti farà avere successo sociale ed economico, ma non è la tua vera realizzazione ha un prezzo molto alto prova a pensare che valore all'indipendenza economica, se hai delle crisi di panico ogni volta che devi andare a lavorare e se non stai bene sul posto di lavoro? 
Anche perché chi l’ha detto che devi stare qua? Il mondo è grande, vai, fai. 
Noi adulti diciamo spesso che vogliamo che i nostri studenti siano felici, ma è un grande inganno, perché nessuno è sempre felice, se uno trova il proprio poste nel mondo supera i momenti difficili, quindi direi: appassionati a qualcosa, a modo tuo, poi vai e sii indipendente e coltiva la tua passione, realizzati. Se gli altri non ti capiscono, non è compito tuo spiegarglielo».

Redazione Sigonio

Matilda 5ªA

Martina 5ªA