Alessandra D'Acconti: un viaggio filosofico

Abbiamo intervistato la professoressa di filosofia Alessandra D'Acconti che si racconta alla luce di 37 anni di insegnamento.

Qual è stato il suo percorso di studi?

«Ho fatto il liceo classico, ho studiato filosofia e mi sono laureata in Italia. Ai miei tempi, c'era la laurea quadriennale, non triennale. Dopodiché ho fatto attività di ricerca e molte domande in giro per l'Europa. Alla fine, mi hanno presa a Cambridge e lì ho fatto il dottorato».

 

Ha notato qualche differenza tra l'università in Italia e quella a Cambridge?

«Innanzitutto Cambridge è un'università privata molto costosa, e in generale solo le famiglie abbienti possono investire in una educazione di alto livello e avere maggiore successo. L’istruzione pubblica, infatti, in Gran Bretagna non è ben gestita. Oltre a questo, nel sistema educativo privato gli studenti sono più seguiti e ci sono biblioteche che noi ci sogniamo. 

Il percorso di studi britannico è molto diverso dal nostro perché punta a fare poche cose in modo approfondito. Manca, quindi, un quadro culturale d'insieme. Uno studente che esce da un buon liceo italiano ha forse la stessa cultura generale di un laureato inglese. 

Però soprattutto nel campo scientifico hanno una grande preparazione. Hanno ad esempio la possibilità di lavorare subito in laboratorio e fare ricerca senza imparare soltanto dai manuali. 

La più grande differenza è, forse, quella che riguarda le finalità sociali del sistema educativo: in Italia la scuola è pubblica e ha l'obiettivo di portare avanti tutti nel miglior modo possibile, mentre quella britannica comincia già dalle medie a fare dei gruppi di livello, sfavorendo la progressione di tutti. Qui, invece, l'interazione fra studenti di diverso livello, con diverse capacità, fa lavorare meglio, perché c’è lo stimolo a migliorare. Il sistema inglese mira quindi all'eccellenza».

Ha sempre voluto fare l'insegnante?

«No. A me piace studiare, infatti preferisco imparare piuttosto che insegnare; La mia vita ideale: leggere e, al limite, scrivere. Appena finita l’università, nell'85, hanno indetto il concorso per la cattedra di Filosofia per entrare di ruolo. Questo mi ha condizionato perché, quando sono andata a Cambridge, ero di ruolo in questa scuola già da tre anni, quindi sono partita, mi hanno conservato il posto e poi sono tornata: non era esattamente il mio sogno, però è difficile, in Italia, lasciare un lavoro sicuro».

 

Perché ha scelto di studiare filosofia?

«A scuola mi piaceva molto la filosofia, amavo il fatto che ci potessero essere tanti punti di vista differenti a proposito di una sola questione. In realtà, alla fine del liceo ero molto indecisa perché mi piaceva moltissimo la matematica ed ero innamorata della geologia».



Si sente soddisfatta del suo percorso oppure vorrebbe cambiare qualcosa? 

«Ho pensato tante volte che forse sarebbe stato bello studiare lingue e Storia dell'arte anziché Filosofia. Poi ho fatto qualche tentativo in Inghilterra per trovare un posto all'università, soltanto non ero proprio adatta al mercato accademico anglosassone, perché ero una donna europea e avevo già trent'anni. Loro cercano maschi giovani. Forse, se avessi avuto la possibilità di rimanere lì l'avrei fatto, però avevo il lavoro qui che mi aspettava».

 

 Nota molte differenze tra gli studenti di oggi rispetto a quando lei era studentessa?

 «Sì, diverse. Intanto, loro non avevano il telefono e voi sì e, anche a causa di questo, gli studenti non riescono a concentrarsi. Forse è calata anche nel tempo la fiducia nella scuola e negli insegnanti. Quando ho cominciato a lavorare, avevano ancora speranza nel fatto che la scuola fosse qualcosa di importante. Per di più, ci sono governi che non la finanziano. Adesso gli studenti hanno voglia solo di liberarsi della scuola, dello studio e degli insegnanti il prima possibile».

 

Fuori da scuola ha qualche hobby?

«Non è che abbia molto tempo libero sinceramente, lavoro tutto il giorno, ma quando posso leggo, mi piace molto. In letteratura, l’autore che forse mi piace di più in assoluto è Kafka, perché spiazza completamente il lettore, non lo si capisce, è una sfida continua alla propria intelligenza. Sono anche molto interessata al filone della letteratura di autrici inglesi di origine coloniale, come ad esempio Zadie Smith».

 

Ha sempre avuto un forte interesse per la conoscenza?

«Sì, direi di sì. Ho sempre studiato moltissimo, anche da bambina. Non lo facevo per costrizione, ma perché mi piaceva tanto. In più, ho scoperto che insegnando si continua ad imparare e si capisce meglio anche cosa si pensa di sapere già. Rimango, però, dell’idea che se si potesse studiare senza insegnare, non mi dispiacerebbe. Se potessi, starei solo in biblioteca. In ogni caso, apprezzo l'insegnamento perché dà il vantaggio di stare a contatto con i giovani, rimanendo così aggiornata su come va il mondo».

Redazione Sigonio:

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