Annalisa Pavarotti: la narratrice onnisciente del Sigonio

Annalisa Pavarotti, storica docente di Italiano, Latino e Storia del Sigonio, si racconta ai ragazzi della Redazione.

Annalisa Pavarotti

Che lavoro le sarebbe piaciuto fare da piccola?

«L'insegnante! Non ho mai pensato di fare altre cose, quindi faccio il lavoro che mi piace: è una grande fortuna.

Man mano che andavo avanti nel mio percorso scolastico mi si è consolidata questa idea, quindi alla fine ho orientato i miei studi verso ciò che poteva portarmi all’insegnamento.
Non direi che serva una vocazione, direi più l’impegno o la passione nel pensare che sia bello poter trasmettere le cose che si conoscono ai giovani e contribuire alla loro formazione.

Non credo si tratti di una missione ma sicuramente di un interesse che si deve portare avanti in maniera concreta, continuando a studiare e immaginando metodi che appassionino e rendano efficace l’apprendimento». 

 

Qual è stato e come ha vissuto il suo percorso di studio?

«Al liceo sono stata rappresentante di classe, d'istituto e di consulta provinciale, all’epoca era più frequente che ci fosse un’attività politica più partecipata di quanto oggi tendenzialmente non si vede.
Le nostre assemblee non avevano film, potevano ospitare esperti o invitati, con cui però potevamo proporre dei problemi, dialogare e magari discutere.

L’ho fatto molto volentieri, perchè mi sembrava una cosa importante come studente considerare la scuola come parte di una realtà più ampia di una città e di un paese.

Mi sono sempre divertita molto a scuola, studiare mi piaceva, sono stata anche molto fortunata nel senso che ho avuto ottimi insegnanti, mentre a quell’età, se un insegnante non è bravo, non riesce a coinvolgere gli studenti.

Ad esempio, avrei voluto fare filosofia all'università, ma il mio insegnante del liceo non era particolarmente accattivante, così ho finito per allontanarmi dalla mia idea iniziale e fare altre cose che invece erano veicolate da docenti secondo me profondamente capaci di appassionare.
Anche all’università avevo professori straordinari, quindi come studentessa, mi sono sempre divertita.

Quando poi si è trattato di diventare insegnante, ho cercato di seguire il loro esempio.
Ma ovviamente mi diverto molto anche come insegnante!»

 

Secondo lei è più pesante la scuola ora o quando l'ha fatta lei?

«Non farei delle differenze qualitative ma sottolineerei la differenza del sistema.

Quantitativamente è vero che noi avevamo un carico di studio più grande.
Tuttavia c’è da dire una cosa, noi procedevamo nei gradi scolastici in una maniera che portava a consolidare maggiormente delle abilità di base che invece adesso sono abbastanza carenti.

Gli studenti manifestano delle lacune e delle difficoltà che provengono dal percorso scolastico precedente in cui non hanno avuto la possibilità di consolidare le proprie capacità di base.

Quindi oggi cerchiamo di fare in proporzione meno cose ma in modo tale che le conoscenze risultino più solide.
Il problema  non è il contenuto ridotto ma si verificano nei singoli o nelle classi certe difficoltà che ti portano a seguire male o poco il lavoro che si svolge».

 

Come è cambiato nel tempo il rapporto con gli studenti?

«Gli studenti sono molto diversi tra di loro, ognuno con le proprie caratteristiche: c’è chi ha bisogno di essere spronato e chi ha bisogno di essere richiamato al silenzio, se ha troppa chiacchera.

Ho sempre cercato di essere sostanzialmente affabile e disponibile nei confronti degli studenti, provando a evitare di essere troppo distaccata dalla dimensione degli alunni.


Sicuramente sono una professoressa esigente, ma ritengo di offrire la disponibilità necessaria per garantire un apprendimento ottimale.
Il docente trasmette quanto può, lo studente ha modo di imparare anche grazie al rapporto con lui.

Quello che vorrei nelle mie classi è che gli studenti sappiano di potermi parlare di qualsiasi cosa.

Anche di tirarmi degli accidenti, questo lo si mette in conto, ma vorrei che avessero la consapevolezza che se si vuole imparare qualcosa, c’è sempre il modo di farlo».


C’è mai stato un collega di cui ha avuto stima, con cui magari è arrivata a stringere anche un rapporto personale?

«Con i colleghi la stima c’è sempre perché sostanzialmente si condivide un progetto di fondo che è quello scolastico.
Naturalmente con alcuni colleghi si sono instaurati dei rapporti più stretti, alcuni li conosco fin da quando eravamo ragazzi.
Mi è capitato anche in passato in altre scuole di avere colleghi con cui non si riusciva ad avere un punto di incontro, soprattutto in situazioni in cui era evidente l’intenzione di non aiutare i ragazzi nella scuola, ma di indirizzarli verso altri istituti, senza dare loro la possibilità di migliorare né l’aiuto necessario.

Questa è una tematica a cui sono molto legata».

 

Quali sono i problemi della scuola italiana e come affronta i bisogni dei propri alunni come ad esempio situazioni legate all’ansia?

«Chi non è ansioso se lo metto davanti a cose che non riesce a fare?
Si nota oggi il problema perché è massivo, dovuto a una condizione di difficoltà diffusa soprattutto quando si insegnano discipline come Latino o Diritto che, soprattutto al biennio, sono nuove e sconosciute: il problema non è individuale ma strutturale.

Ci sono anche tanti ragazzi che vivono in maniera dolorosa la relazione con la scuola a causa del rapporto con la famiglia o con i docenti.

Penso che il miglior modo per affrontare la situazione sia individuare il problema e spiegarlo in modo chiaro, poi si trovano strategie  per dare supporto in ogni ambito, a partire da materiali didattici che agevolano la conoscenza, fino alla relazione interpersonale.

Cerco comunque di offrire aiuto invece di consigliare loro di cambiare scuola, come talvolta avviene, invece, in altre scuole.

Bisognerebbe insegnare che la verifica non è un fallimento della persona, anche perchè i ragazzi sono troppo spesso legati al fatto che il valore di una persona si misuri soltanto sulla performance o in base al voto.
Non è così, agli errori si recupera, si riprova fino a che non ci si riesce, l’importante è che si percepisca questo come un percorso, non come una costrizione imposta da qualcuno: penso che questo potrebbe migliorare l’apprendimento e la vita di classe».

 

Quali sono i punti di forza della scuola italiana secondo lei?

«La scuola -Afferma sospirando la docente (ndr) - ha il compito storico di ascensore sociale, che consiste nel fornire l’opportunità a tutti di avere migliori possibilità di vita.

Anche se questo è diventato più difficile oggi, aiutare gli studenti a sviluppare il pensiero critico da applicare alle conoscenze che si apprendono ogni giorno, rimane il nucleo forte di questa istituzione.

Anche se ci sono molti docenti disinteressati, se ne incontrano anche molti profondamente convinti di questa necessità.
Nella nostra scuola in particolare c’è una grande attenzione riconosciuta anche negli altri istituti verso le persone con difficoltà».

 

Ha degli hobby, delle passioni o dei progetti al di fuori dalla scuola?

«Naturalmente mi piace leggere e principalmente leggo narrativa e lo faccio anche per dovere professionale. Leggo soprattutto storia e saggistica, passione che ho fin dai tempi dell’università.
Mi piacciono anche l'arte e le mostre, ma la cosa che faccio più volentieri nel tempo libero è cucinare, soprattutto i dolci, perché sono di solito ricette complicate, ma per fortuna non mi piace mangiarli.
In casa questa passione è condivisa un po’ da tutti, infatti prepariamo di tutto insieme.

Il mio piatto preferito è in realtà il riso in bianco perché, diversamente da uno dei miei figli, non mi piace mangiare, ma cucinare.
In particolare, mi piace non solo la passione per la preparazione manuale delle pietanze, ma soprattutto la dimensione amicale della cucina, il fatto di mettere a tavola persone e passare tempo insieme, non solo con la famiglia, ma anche con amici.
Quando andrò in pensione scriverò una grammatica di greco, sono 30 anni che mi dico “quando andrò in pensione la faccio!”

Perché quando si insegnano materie come Greco e Latino si vede come i libri di testo siano disastrosi, anche se meno adesso di 30 anni fa. Nasce allora l’esigenza di produrre un nuovo manuale: capisco che sia una prospettiva che in pochi potrebbero prendere in considerazione».

 

Che tipo di impressione vorrebbe fare ai suoi studenti? Cosa pensa di lasciare a loro?

«Spero che le mie classi mi riconoscano come una docente disponibile, mi dispiacerebbe se non fosse così.

Se le cose che vi propongo sono difficili - afferma rivolgendosi direttamente agli studenti - (ndr.) e si fatica a farle,  spero siate comunque consapevoli che si può trovare un modo di farle insieme». 

 

Come mai si veste sempre di nero e se le hanno mai detto di assomigliare a qualche peronaggio famoso? 

«Non ho mai attraversato la fase “Cosa mi metto?”  il che mi pare, invece, sia l’angoscia di molti ragazzi oggi.
Ho sempre avuto l’abitudine di scegliere vestiti che potessero piacermi e che fossero soprattutto comodi.

Sarà che il nero snellisce, sarà che, sicuramente, è il colore che preferisco da abbinare ad altri toni scuri come grigio o marrone, ma non riuscirei mai a vestirmi con colori vivaci. Non mi sono mai piaciuti, mentre trovo il nero rilassante.
Tempo fa utilizzavo anche camicie bianche, ho smesso perchè i miei alunni mi dicevano che sembravo un pinguino a quel punto ho eliminato il bianco dall’armadio, così possono dirmi che sembro un corvo o una cornacchia che, come uccellini, mi piacciono più dei pinguini.

Se voi dite che assomiglio alla professoressa Mcgranitt di Harry Potter forse è più per una questione caratteriale, perché non sono così vecchia, ma forse è anche per il modo di vestire: di solito usa colori scuri anche lei, se non vado errando».

 

Il mito dello “studente preferito” è vero? Le è mai capitato di rimanere in contatto dopo la scuola con alcuni di loro?

«Personalmente io non ho mai avuto uno studente preferito ma è un fenomeno che può esistere umanamente e l’ho visto accadere.

Capita di riconoscere delle persone più affini e questo può creare il presupposto per instaurare una relazione personale resistente nel tempo, ma mi sono sempre sforzata di non far sentire ai ragazzi differenze di questo genere.
Al di fuori della scuola poi vedo ancora dei miei alunni di tanti anni fa, alcuni hanno mandato i figli da me per le ripetizioni, altri ogni tanto mi scrivono due righe o mi fanno gli auguri per Natale.

Questo ovviamente fa piacere perché è la traccia di un piccolo ricordo che si è lasciato nelle persone. Se si riuscisse a fare in questo modo con tutti, sarebbe bellissimo, ma naturalmente non sempre è possibile».

Redazione Sigonio

Aura 5ªB