Massimiliano Cozza: «Lo sport a scuola. Un mix tra scienza e socialità»

Al primo anno di ruolo al Sigonio, il professore di Scienze Motorie si racconta ai microfoni della redazione.

Cozza

Cosa l'ha spinta a scegliere questo percorso lavorativo?

«Questo mestiere mi ha attratto molto perché sono sempre stato a mio agio tra le persone. Ero continuamente il primo a divertirmi e a far divertire gli amici e i compagni di classe. Ho capito, quindi, che il mio lavoro doveva comprendere una relazione con altri individui e i ragazzi mi hanno sempre ispirato buone emozioni. Quindi rimarrò nel contesto scolastico tutta la vita».

 

Da bambino, invece, cosa pensava di fare da grande?

«Questo non lo sapevo, non l’ho mai saputo da da piccolo. Mio padre avrebbe voluto che io e i miei fratelli diventassimo medici o avvocati, ma è avvenuto tutto il contrario. Io ho comunque intrapreso una strada di studi scientifici. Il pensiero di fare l’insegnante è nato alla fine delle superiori, quindi avevo solo l’idea di una professione che comprendesse lo stare in mezzo alle persone». 

Cosa sta imparando dai suoi alunni durante le lezioni?

«Apprendo molto dalle mie studentesse, che sono di numero maggiore rispetto ai ragazzi. Questa esperienza è ancora nuova e penso che ogni anno noi docenti impariamo molto dagli studenti, perché educare implica una trasmissione di esperienze da entrambe le parti. Questo aspetto viene spesso dimenticato dagli insegnanti».

 

Cosa preferisce dell’essere insegnante?

«Non mi viene in mente un aspetto concreto, posso dire che giorno per giorno cambia in base a come mi sento e come percepisco i ragazzi. Non sempre il professore deve solo seguire il programma didattico, ma anche capire quale obiettivo raggiungere in un determinato momento. Occasionalmente ritengo sia importante coinvolgere i ragazzi con ironia, a volte invece vorrei motivare un alunno per aiutarlo a compiere un preciso incarico».

 

Qual è il suo rapporto con gli studenti? 

«Ho un bellissimo rapporto. Credo però che, a volte, il modo di essere comico che spesso uso con le classi più grandi possa essere scambiato come pretesto per sfiduciare la figura dell'insegnante dal punto di vista professionale. Tuttavia questo mio atteggiamento può beneficiare alla mia relazione con gli alunni. Il mio obiettivo è far capire ai ragazzi che dietro a certi atteggiamenti c’è sempre un docente che vuol fare ragionare sulla possibilità di mettere in atto comportamenti più confidenziali in determinati contesti. Nel momento in cui uno studente afferma o compie un determinato gesto, intuisco che ha capito il mio modo di fare e di agire, sia nella vita scolastica sia in vista di un futuro lavorativo». 

 

Com’era invece lei quando era al nostro posto da studente? 

«Mi piaceva passare il mio tempo fuori casa con gli amici. Ho frequentato il liceo scientifico ma mi ricordo poco di questi anni, ho iniziato da adulto a recuperare ed apprezzare i libri classici nel tempo libero. Guardando voi ragazzi impegnati in questo progetto, rimpiango di non aver partecipato anche io alle attività pomeridiane che proponeva la scuola, soprattutto perché formano i ragazzi e fanno nascere nuove amicizie. Questi aspetti scolastici sono molto ammirevoli, ma io ho sempre tralasciato queste proposte perché il mio unico scopo era studiare l’indispensabile per la promozione».

 

Quale materia odiava o faceva fatica a capire quando era a scuola? 

«Le materie che mi mettevano in difficoltà erano latino e inglese. Latino non mi è mai piaciuto, mentre inglese facevo fatica a comprenderlo a causa delle mie scarse conoscenze di base, dovute alla mia esperienza alla scuola media. Avevamo un insegnante preparato ma non era in grado di mantenere l’ordine in classe, per questo non seguivamo le lezioni e io ho abbandonato la materia». 

 

La materia che insegna è molto specifica. Questa disciplina lo ha mai aiutato in un momento critico? 

«La materia no, ma il lavoro sì. Il mondo lavorativo, infatti, è diverso da quello familiare o quello quotidiano. Durante il lavoro, tutte le problematiche familiari vengono messe da parte. L’università, invece, posso dire che mi ha salvato e allontanato dai guai adolescenziali».

Due aspetti del suo carattere che sono cambiati da quando è diventato padre.

«Il primo aspetto che è cambiato dalla nascita di mio figlio è la paura di morire. Ora sono più attento ed egoista quando compio alcune scelte, proprio perché il mio primo pensiero è tornare a casa da mio figlio. Un’altra caratteristica è il mio improvviso impulso di spendere molto di più, perché vedendolo felice dei regali, mi viene la voglia di comprare qualcosa anche per me».

 

Quali sono i criteri per definire un uomo realizzato nella vita?

«Ognuno di noi, secondo me, deve essere consapevole di essere una persona realizzata oppure no, deve sentirsi in pace con se stesso e magari è opportuno circondarsi di persone che ci aiutino a raggiungere i nostri obiettivi». 

 

Cosa vorrebbe che i ragazzi in generale imparino per affrontare il loro futuro?

«Vorrei che i ragazzi imparino a vivere in un contesto sociale e riescano a superare anche le situazioni più difficili. Penso sia importante affrontare i problemi in maniera dignitosa senza mai nascondersi, e soprattutto, senza farsi prendere troppo dall’emozione, poiché un eccesso di emotività non fa mai bene».

 

Lei si definisce una persona irrazionale o razionale? Pensa che sia giusto dare più spazio al cuore o alla testa?

«Mi definisco una persona razionale, penso che sia molto più giusto dare spazio alla testa».

 

Se lei potesse realizzare un desiderio o qualcosa che può cambiare della sua vita, cosa sceglierebbe? 

«In questo momento il mio desiderio sarebbe una vacanza di venti giorni da solo, senza nessun altro».

 

Qual è la sua canzone del cuore? 

«Sicuramente Portami a ballare di Luca Barbarossa, canzone dedicata alla mamma. Poi una di Rino Gaetano A mano a mano e come terza dico Sognando la California dei Dik Dik perché piaceva molto a mio zio che è venuto a mancare».

 

Se dovesse scegliere un periodo storico in cui vivere, quale sceglierebbe e perché?

«Se intendi vivere una vita intera in un’altra epoca, sceglierei di nascere una trentina d’anni prima, per vivermi il boom economico del dopoguerra, dove non c’erano tutte queste paranoie e pensieri che ci stiamo facendo per via delle nuove guerre, per il sopravvento della tecnologia».

 

Da quale forma d'arte si sente rappresentato? 

«Probabilmente mi sento rappresentato dalla musica. Questo perché riesce a suscitare emozioni, che possono essere sia positive che negative. Inoltre, quando si ascolta una canzone, quest’ultima ne fa sempre emergere qualcuna, anche cose del tipo “non la voglio più ascoltare, non mi piace».

 

Se dovesse far bella figura con qualcuno, quale piatto sceglierebbe di cucinare? 

«Sceglierei di cucinare la carbonara. Negli anni dell’università la cucinavo spesso e poi in primis mi piace molto, quindi capisco subito se l’ho cucinata bene oppure no».

 

Scelga un'emozione, una caratteristica, un atteggiamento che tutti dovrebbero avere per affrontare le giornate più pesanti.

«Il coraggio. Chi è sportivo, il coraggio lo mette in una gara o una partita: magari quel giorno non si sente bene oppure è conscio di dover affrontare avversari più forti di lui. Bisogna avere coraggio in tutte le cose, deve essere sempre presente. Inoltre, penso che la giornata dovrà finire prima o poi, quindi indipendentemente da come vada, dobbiamo mettere il massimo in tutto ciò che facciamo».

 

Se dovesse associare uno sport alla sua persona, quale sceglierebbe e perché?

«Partiamo dal presupposto che non mi ritengo un atleta, l’approccio alle Scienze Motorie nasce dall’amore per la scienza e il piacere di stare insieme ai ragazzi e dal fatto che, quando ero più giovane, non riuscivo a stare fermo. Detto questo, non venendo da uno sport puro, mi baso su quello che faccio fare ai ragazzi. Sceglierei la pallavolo. Questo perché non mi ritengo un individualista, mi piace collaborare e credo nello spirito di squadra. Inoltre, non mi piace affrontare le persone corpo a corpo e nella pallavolo c’è la separazione della rete che non rende possibile lo scontro corporeo. In ogni caso, quando insegno, faccio provare tanti altri sport ai miei studenti: credo che cimentarsi in tante attività diverse sia importante per conoscersi meglio e coltivare i propri talenti».