Benedetta Maganzi: la professoressa dai fiori pastello (e il gatto Marcello)

Eleganza, cultura, e soprattutto, una sfrenata passione per i felini. La prof.ssa Maganzi, che ha scelto una foto peculiare per descriversi, si racconta ai microfoni della Redazione Sigonio.

Marcello Maganzi

Come si presenterebbe a qualcuno che non la conosce?

«Come mi presenterei? Con il mio nome, intanto, e con il fatto che faccio l’insegnante, questa sarebbe la mia risposta: sono Maganzi Gioeni d’Angiò Benedetta, o più semplicemente conosciuta dagli studenti come prof. Maganzi, insegno Storia dell’Arte al Liceo Carlo Sigonio di Modena. Nonostante sia docente a Modena, abito a Bologna».

 

Ha una famiglia? E degli animali domestici?

«La mia famiglia è composta da tre persone e un animale domestico: io, i miei due figli, Riccardo ed Emma di rispettivamente 18 e 17 anni e il gatto che oramai tutte le mie classi conoscono, Marcello, che è un essere meraviglioso di otto chili, rosso, bellissimo e ormai l’unico figlio, perchè gli altri due li ho eliminati. Marcello è una creatura vivace, che, appena arriva in casa si mette a dormire, ma è più affettuoso dei miei figli».

 

Qual era il suo sogno da bambina?

«Sinceramente, non ho avuto sempre le idee chiare su cosa avrei voluto fare, infatti ho cambiato varie volte la tipologia di lavoro dei sogni. Ad esempio, da piccola avrei voluto essere la guida del Parco Nazionale di Yellowstone, perché vedevo sempre l’orso Yoghi. Ma nonostante abbia cambiato quel sogno giovanile, una cosa non è mutata, ovvero, il fatto di guidare qualcuno, che sia in un parco come quello di Yellowstone, o che sia in uno spazio più ristretto, come un’aula del Sigonio.».

 

Dove e cosa ha studiato all'università? Perché?

«Ho studiato all’università di Parma, nella facoltà di Conservazione di Beni Culturali, perché l’arte è divenuta parte di me, non subito in realtà, ma grazie all’incontro con la mia insegnante di storia dell’arte quando ero una studentessa delle superiori. Mi affascinava il suo modo di spiegare, quello che di sé metteva mentre faceva lezione e come riusciva a inserire questa disciplina nel programma: ci teneva molto poco in classe, abbiamo fatto lunghissimi periodi in pinacoteca a Bologna, per cui era tutta una dimensione differente che sicuramente suggestionava molto. Ho sempre visto la mia prof. come un personaggio affascinante».

 

Qual è il suo pittore preferito? Perché?

«Questa è una domanda difficilissima, perché ho avuto parecchi pittori che ho adorato. Solitamente vado a periodi, in base al mio stato d’animo e a cosa mi interessa di più in quella determinata fase. Posso, magari, partire da Pisanello, perché è il più grande maestro di quel gotico internazionale italiano che porta una vena favolistica che mi ha sempre affascinata, fino ad arrivare ai quei grandi artisti di fine ‘800, come Egon Schiele, che fu una figura estremamente tormentata, ma capace di creare e dare vita a un espressionismo quasi estremo.”



Qual è, invece, il suo dipinto preferito? C’è una storia dietro a questo quadro?

«Anche questa è una domanda che non ha risposta certa perché esistono centinaia di quadri che mi piacciono, come La Visione di Sant’Eustachio di Pisanello. Aprendo il libro di storia dell’arte, il volume 2 del secondo anno era quello che guardavo di più, perché questo bosco, la visione di questo santo cavaliere e la croce in mezzo a tutti questi animali, mi lasciavano senza parole; poi il bosco è il mio ambiente. Oppure le stampe di Dürer, perché non solo le ho amate tanto, ma le ho anche studiate tanto, soprattutto la Melancholia, che vidi in una mostra-mercato».

 

Per caso, lei dipinge o crea delle opere d'arte?

«Io non dipingo, perché è meglio che non metta mani su tele o su tempere. L’unica cosa che faccio è una forma simile a un felino, che mi ricorda la mia prima gatta, Margherita e dei fiorellini, che ossessivamente riproduco durante gli orali di maturità, perché quando sono presa dallo sconforto più totale, comincio a disegnare e colorare questi motivi, che sono l’unico modo per non impazzire durante queste sei ore al giorno. Solitamente durante gli orali ho abbastanza pastelli da poter colorare i fiorellini di diverse tonalità e li comincio a disegnare dopo il terzo studente, perché non ce la faccio più a rimanere concentrata».

 

Perché ha deciso di fare l'insegnante?

«Secondo me, anche nella vita passata sono stata un'insegnante, poi, tutta la mia famiglia è composta da docenti, a parte mio fratello che ha deciso di diventare infermiere. Ero destinata a fare l’insegnante, perché fin da piccola scrivevo delle pagelle, solo che non erano destinate a persone, ma ai miei cani. Per il gatto, però, la pagella non serve, siccome è già promosso di diritto, perché è la creatura per eccellenza».

 

Se non avesse scelto di fare l'insegnante, cosa avrebbe pensato di fare?

«Molte volte me lo chiedo anch'io, perché il mio lavoro, ogni tanto, mi mette a dura prova e mi chiedo chi me l’abbia fatto fare, e ho pensato che sarei potuta divenire fornaia, perché mi piacciono i biscotti e perché mi sveglio comunque alle quattro del mattino per venire qua: tanto vale che diventi fornaia e guadagni tre volte di più. Altrimenti, ancora, falegname, perché amo molto il legno, ma visto che non ho alcuna abilità manuale, probabilmente non avrei più le mani a quest’ora se avessi intrapreso questa carriera, quindi alla fine è meglio che continui a insegnare».

 

Si ricorda di qualche suo ex studente? Perché proprio lui/lei?

«Nei ventidue anni di carriera ho avuto molti studenti “pazzi sciroccati”, perché ho insegnato un po' in tutte le tipologie di scuola, che vanno dai professionali ai licei. Molti degli studenti mi hanno scritto delle lettere che conservo ancora oggi».

 

Qual è stata la cosa più strana che le è mai capitata in classe?

«Al Tecnico meccanico mi hanno minacciata di morte mentre ero supplente di potenziamento. Ad un professionale hanno bruciato le sedie e i banchi in cortile perché avevano freddo, in conseguenza del fatto che il Comune non aveva ancora attivato i termosifoni, quindi loro hanno deciso di accendere un falò. Oppure, quando andai in gita con una classe del Liceo Classico e in un’altra sezione, tutta maschile, della scuola di aeronautica, il complesso scolastico ospitava più indirizzi, uno degli studenti rientrò in hotel molto ubriaco e i compagni decisero di giocare a tris con il pennarello indelebile sulla sua schiena. Gli aneddoti che avrei da raccontare sono infiniti, ma penso che si possa immaginare cosa abbia potuto osservare nei miei ventidue anni di insegnamento».

 

Come sono cambiati gli studenti, secondo il suo punto di vista?

«Per me, è il contesto che è cambiato più che gli studenti, perché le fasi della vita sono sempre quelle ma la complessità della società è decisamente maggiore. Da adolescente, mi descriverei come una ragazza timida e musona, anche se non me lo ricordo perfettamente, ma di certo mi ricordo che in casa mia parlavo poco, come gli adolescenti in generale e i miei figli. Loro, infatti, parlano a monosillabi perché il sì e il no sono il massimo che riesco ad ottenere, almeno il gatto dice miao ed è già un miglioramento».

 

Se lei fosse un’alunna, si troverebbe simpatica come professoressa?

«Un’insegnante che vi lascia tenere gli appunti sotto gli occhi durante le verifiche, vuoi che non sia simpatica? Cerco sempre, o almeno per quanto posso, di tenere conto del fatto che non esiste solo la mia materia e del “peso” che lo studio può portare: essendo stata anche io un’alunna, cerco di mettermi nei panni degli studenti».

 

C'è qualcosa che vorrebbe insegnare ai suoi alunni, che non è ancora riuscita a fare (o che non può fare)?

«Quello che vorrei insegnare ai miei studenti è come essere felici, ma non ho la ricetta perciò l’unico consiglio che posso dare agli allievi è quello di fare ciò che li fa stare bene, essere onestamente se stessi, fare del proprio meglio e avere pazienza, poi il resto verrà da sé».

Redazione Sigonio

Noemi 4ªH