Maurizio Clemente: un professore come pochi

È riuscito a trasformare la sua passione in un lavoro attraverso il quale riesce a trasmettere ai giovani tutta la sua preparazione e l’amore per le materie che insegna.

La figura di un super-prof aggiornato, spigliato e preparato è quella che emerge dall’intervista che gli abbiamo riservato.

Clemente

Qual è stato il suo percorso di studi?

“Ho fatto il liceo scientifico a Lecce, poi ho frequentato la facoltà di Lettere di Bologna negli anni Ottanta, quando c’erano i grandi maestri come Eco, Raimondi e Traina: insomma, quando l’Università di Bologna era una delle migliori d’Europa. Successivamente, sono rimasto lì e ho cominciato a insegnare e, a partire dal ‘91, ho iniziato stabilmente a svolgere questo mestiere. Fino al 1991, quando la leva militare era obbligatoria, sono stato ufficiale; poi ho fatto il giornalista freelance: scrivevo pezzi e li spedivo al Resto del Carlino, quasi sempre si trattava di politica. Non avevo ancora ben chiaro cosa avrei fatto nella vita perché mi piaceva insegnare, però ero anche bravo in altro. Ho cominciato prima al liceo Alfieri, una scuola privata di Bologna, poi ho capito che mi piaceva anche perchè i ragazzi mi davano un buon feedback: siccome avevo ancora tanti dubbi sul mio futuro, mi sono fidato del giudizio altrui, ho fatto tanti anni di supplenza e nel 1999 ho vinto il concorso pubblico e sono entrato di ruolo”.

 

Quali difficoltà ha incontrato durante il suo percorso di insegnante?

“Le maggiori difficoltà sono state legate al fatto che, ai miei tempi, i concorsi si facessero una volta ogni tanto. Avrei già potuto partecipare nel 1991 perché ero laureato però, in quel periodo, stavo terminando il mio percorso da allievo ufficiale e non ho partecipato pensando che un concorso ci sarebbe stato anche due o tre anni dopo. Invece il bando successivo è uscito solo nel ‘99. Infatti, l’unico rimpianto che ho, è che avrei potuto entrare di ruolo molto prima”.



Qual è la sua filosofia di insegnamento?

“Secondo me, per essere bravo con i ragazzi, bisogna che passi il messaggio di amare la materia che si insegna. Essere simpatici, spigliati e brillanti sono qualità importanti ma è più importante, e questo i ragazzi lo sentono, amare quello che fai. Dunque ritengo che la prerogativa di ogni insegnante sia quella di essere competenti nella propria materia, essere sempre aggiornati e informati sulle novità e poi, sicuramente, saper comunicare con i ragazzi e  rispettarli”.



Ci può raccontare un episodio in cui ha dovuto gestire un comportamento difficile da parte di un alunno?

“Certo! Io non ho insegnato solo in licei, ma sono stato anche in un professionale dove mi è capitato di avere di fronte non solo ragazzi problematici, ma spesso anche violenti: veri e propri casi sociali. Dell’episodio che vi sto per raccontare non vado fierissimo però mi è capitato davvero. Nel 2011 insegnavo all’IPCT di Vignola ovvero l’istituto professionale per i servizi al commercio frequentato quasi soltanto da ragazze. Al piano di sopra c’era l’istituto professionale per l'artigianato con una grande presenza di ragazzi maschi, spesso poco interessati allo studio. Un giorno, uno di questi ragazzi, approfittando del fatto che io non ci fossi entrò in classe e cominciò a offendere pesantemente le ragazze che poi riferirono l’accaduto. Il giorno dopo mi sono preparato, mi sono messo le scarpe da tennis, nascosto dietro la lavagna e aspettato che il ragazzino si ripresentasse per poi inseguirlo per tutti i corridoi della scuola. Volevo che anche gli altri sapessero che io non tolleravo un atteggiamento del genere. Tutta la scuola si era praticamente fermata perchè non era frequente vedere un professore che inseguiva uno studente sulle scale. Infine, l’ho portato dalla preside perché non era possibile che facesse piangere le mie studentesse”.




Secondo lei cosa dovrebbe fare un insegnante per riuscire a coinvolgere e affascinare i propri studenti della generazione Z?

“Come detto prima: amare ciò che si fa, far capire ai ragazzi che l’insegnamento non è un ripiego ma una prima scelta e scegliere la via del dialogo. Con i ragazzi l’unico modo di coinvolgerli è proprio il dialogo per capire che ciò che si fa ricade nella vita di tutti giorni. Ad esempio, quando si parla di Dante, si affrontano temi come l’invidia, la capacità di scegliere, il coraggio: aspetti con cui una persona si trova a confrontarsi nella vita di tutti i giorni”.

 

Il suo lavoro le lascia tempo per la vita privata?

“Ovviamente, non solo mi lascia tempo per la vita privata che per me è importantissima, ma anche per lo studio e per la scrittura. Io sono un saggista, infatti, spero entro quest’anno o, al massimo, all’inizio del prossimo, di pubblicare il mio sesto saggio: il terzo di una trilogia che ha a che fare con la letteratura e la natura. Quindi l’insegnamento è un lavoro che mi permette anche di dedicarmi alla mia altra grande passione, che è la scrittura”.

 

Consiglierebbe a sua figlia di intraprendere il suo stesso lavoro?

“Mia figlia è una ragazza estremamente in gamba, però molto diversa da me. Esther ha un talento per le lingue che io non ho mai avuto così sviluppato. A differenza di me, lei è più dinamica e meno diplomatica, infatti, penso che il suo percorso sarà quello della

traduttrice: la vedo più come una persona che gira per il mondo. Non credo che lei avrebbe la pazienza per fare questo tipo di mestiere”.

 

Pensa di avere molto da insegnare ai suoi giovani studenti o a volte è lei che impara da loro?

“Tutte e due. Io insegno ai ragazzi, ma molto spesso imparo confrontandomi con le loro esigenze: gli studenti capiscono molte cose che a volte ignorano di sapere e che meritano di essere tirate fuori”.

Se avesse la possibilità di rinascere sceglierebbe lo stesso lavoro?

“Questa è una domanda difficile. Ricollegandomi alla prima risposta, vi devo dire che io a scuola ero bravissimo in matematica e fisica forse anche più che in italiano, quindi avrei potuto fare altro: i miei professori e compagni se lo aspettavano. Ancora adesso, continuo ad avere una grandissima passione per la scienza, per la fisica e per l’astronomia. Alla tua domanda risponderei di sì. Probabilmente farei ciò che ho rifiutato di fare, ovvero una carriera di tipo scientifico" .

Redazione Sigonio

Federica 3ªI

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