La scuola secondo Daniela Tommassia 

La docente di Scienze Umane e Filosofia al Liceo Carlo Sigonio, nata a Castelfranco Emilia, si racconta alla redazione.

Tommassia

Come le è venuta la passione per l’insegnamento? L’ha sempre avuta o le è stata trasmessa da qualcuno? 

«In realtà, nessuno mi ha trasmesso questa passione, pian piano partendo da altre realtà, per esempio come l’ambito socio-assistenziale con i ragazzi disabili, ho iniziato ad interessarmi a questo mestiere. In seguito, mi è venuta voglia di cambiare e ho pensato di intraprendere questo percorso».

Come viveva la scuola da alunna? 

«Nonostante alcune materie mi piacessero e mi piacesse studiare, la mancanza di fiducia e motivazione da parte dei professori e la pressione riguardante la scelta della scuola successivamente, non mi fecero apprezzare a pieno l'esperienza scolastica».

Cosa sognava di diventare da piccola? 

«Fin da subito sapevo che non sarei andata a fare un lavoro strutturato come impiegato o contabile, mi piacevano la letteratura, la musica e giocare con gli animali, ma nonostante questo, non avevo le idee chiare su cosa fare».

 

Quali sono i valori che vorrebbe trasmettere ai suoi studenti? 

«I valori sono tanti, ma il primo che mi sento di consigliare è di avere fiducia in sé stessi. Lavorando qui ho notato che a molti ragazzi manca questa fiducia, poi è chiaro siete giovani e ci vuole tempo per costruire la propria personalità. Un altro valore è quello di essere tolleranti nei confronti degli altri, essere rispettosi, non escludere né discriminare mai nessuno. 

Un terzo valore è il pensiero critico, cioè pensare con la propria testa, ragionare sempre su qualsiasi cosa, su qualsiasi informazione o fatto che accada. Un ultimo insegnamento che vorrei che i ragazzi apprendessero è quello di essere contenti di ciò che si è, di provare e osare».

 

Secondo lei cosa si potrebbe migliorare nella scuola italiana? 

«Essendo un insegnante, noto problematiche in primis nei nostri programmi; a mio avviso sono un po’ vecchi e strutturati in modo pesante e questo fa sì che spesso non suscitino interesse dei ragazzi».

 

Quale percorso di studi ha seguito?

«Quando avevo 14, 15 anni, alla fine delle medie, non avevo le idee chiare. Mi sono iscritta al Deledda di Modena, un istituto professionale, pensando di poter fare la maestra della scuola dell’infanzia, invece non fu così perché, strada facendo, mi sono innamorata di altre discipline che mi hanno portato a decidere di continuare l’università». 

Quali passioni ha oltre al suo lavoro? 

«La musica, la lettura e il cinema sono arti che mi sono sempre piaciute molto. Amo tanto anche gli animali, io stessa ho due gatti e due cani con cui, se non ho impegni, mi piace passare il tempo».

 

Se dovesse scegliere una cosa che l'ha segnata del suo lavoro, quale sarebbe? 

«Lavorare per diverso tempo con i ragazzi in difficoltà mi ha segnato e insegnato tanto, credo che mi abbia aiutato a migliorare le relazioni con i ragazzi in generale». 

Ha lavorato prima di diventare insegnante? Se si quali lavori ha fatto? 

«Ai tempi dell'università, ho lavorato in una libreria a Modena e successivamente anche negli asili nido, dove mi divertii molto e vinsi il concorso per diventare maestra. Entrambi erano lavori che mi piacquero tanto, ma nonostante questo non continuai quel percorso». 

Ha mai visto dei cambiamenti nei suoi studenti nel corso degli anni? 

«Saranno tre anni che ho cominciato ad insegnare Scienze umane in questa scuola e ho visto ragazzi che hanno fatto grandi cambiamenti, soprattutto nel carattere. L’ho notato specialmente in coloro che erano partiti da una situazione di fragilità, li ho visti diventare più sicuri di sé e maturare molto. 

Purtroppo, però, ho notato che con l’avvento delle tecnologie l’insicurezza degli studenti è aumentata, anche in relazione e rapporti fra di voi ho trovato delle differenze. Anni fa a Pavullo, ad esempio, nonostante la scuola fosse con tanti indirizzi, i ragazzi si conoscevano tutti, cosa che adesso vedo mancare». 

Redazione Sigonio

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